Videogiochi e Violenza. Uno studio nega ogni relazione Crolla il mito. La violenza nei videogame non instilla comportamenti violenti nei fruitori.

È credenza comune che la violenza nei videogiochi susciti in chi li utilizza comportamenti violenti. Ed effettivamente una vecchia ricerca dell’APA (American Psychological Association) condotta da Kevin Browne e Catherine Hamilton, ha evidenziato che assistere a scene di violenza sia ’’passivamente’’, guardando la Tv, o ’’in maniera interattiva’’, come avviene nel caso dei giochi al computer, comporta effetti a breve termine sulle emozioni dei più piccoli aumentandone l’aggressività e la quantità di pensieri negativi e violenti. Da allora la stessa APA preme su tutto il settore dei videogames perché riduca il contenuto ditelevisione-e-bambini violenza dei suoi giochi elettronici, ’’Alcuni bambini sono più vulnerabili di altri’’, ha spiegato Browne al quotidiano britannico The Independent. ’’Se avete un bimbo vulnerabile, dovreste bandirlo dall’accedere a questo tipo di materiale. Non farlo è come sapere che vostro figlio è depresso e lasciare in giro per la casa un flacone di medicinali’’, ha aggiunto lo studioso.
Per proteggere ed evitare problematiche legate principalmente ai minorenni sono stati sviluppati molti sistemi di classificazione dei contenuti. In Europa è stato sviluppato il PEGI pegi-videogiochi-bambiniche indica l’età minima consigliata per la vendita (come avviene per i film con violenza e/o scene erotiche).
Ma quanto è vero che i videogiochi violenti trasformano i nostri ragazzi in assassini criminali? Se la ricerca sopracitata mostra che i videogiochi violenti portano a un aumento dell’aggressività nei giocatori, se e come questa aggressività si trasformi in atti di violenza vera, in crimine, è tutto da dimostrare. La recentissima ricerca, intitolata Violent Video Games and Real-World Violence: Rhetoric Versus Data (Videogiochi violenti e violenza nel mondo vero: retorica contro dati) dice che la retorica non regge alla prova dei dati. Lo studio si è basato su analisi comparative: i cambiamenti nelle vendite di videogiochi violenti e nel numero di crimini violenti dal 1978 al 2011 negli Stati Uniti. I risultati sono abbastanza incredibili: l’aumento del consumo di videogiochi violenti non solo non porta in alcun modo all’aumento del numero di crimini violenti, ma pare invece che porti alla diminuzione, almeno nei mesi immediatamente successivi alla pubblicazione. Il perché succeda è ancora dubbio, ma i ricercatori suggeriscono alcune ipotesi. La prima teoria è che i videogiochi violenti funzionino come strumento di catarsi. manhuntaxeOvvero: sfogando la violenza nel virtuale, i giocatori non la portano nel reale. E alcuni studi hanno addirittura suggerito che gli adolescenti usino i videogiochi come strumento di sfogo per l’aggressività. La seconda spiegazione è molto più pratica. I videogiochi violenti hanno un target molto ben definito: i giovani maschi, e i giovani maschi sono anche i più frequenti autori di crimini violenti. La teoria dei ricercatori è che, nei mesi immediatamente successivi alla pubblicazione dei giochi violenti, i giovani maschi siano più spesso in casa davanti al computer o alla console a giocare, piuttosto che in strada a compiere crimini violenti. Inoltre il mercato di videogiochi considerati violenti (come GTA o Call of Duty) si è espanso in questi anni enormemente, ma nonostante sempre più persone siano state esposte a videogiochi violenti, i crimini violenti non sono aumentati. Sembra che gli effetti negativi dei videogiochi sui comportamenti violenti siano dunque praticamente inesistenti.65333

Christopher Ferguson della Stetson University che ha portato avanti lavori simili, sia nell’ambito del cinema sia quello dei videogiochi, dopo aver scagionato completamente il divertimento elettronico prova anche a spiegare il perché di tanto accanimento:

“La società ha una quantità limitata di risorse e attenzioni da concedere al problema della riduzione del crimine. C’è il rischio che identificando il problema sbagliato, come la violenza nei media, possa distrarre la società da problemi maggiori come povertà, educazione, disuguaglianza e salute mentale. Questa ricerca potrà aiutare la società a concentrarsi su problemi veramente importanti, evitando di attribuire risorse non necessarie all’inseguimento di agende morali con poco valore pratico.”

Carmelo Vella