Per fare chiarezza: Ius soli, dal latino “diritto del suolo” è un’espressione giuridica che intende l’acquisizione della cittadinanza come conseguenza del fatto giuridico di essere nati sul territorio di un dato Paese, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori. Lo ius sanguinis (“diritto del sangue”), indica invece la trasmissione della cittadinanza dal genitore alla prole (ad esempio, il figlio di un italiano è italiano anche se nasce all’estero).
Al momento attuale chi è nato in Italia da genitori stranieri può diventare cittadino italiano solo al compimento dei 18 anni, a condizione che abbia mantenuto costantemente la residenza in Italia dalla nascita. Nel nostro Paese lo ius soli si applica anche in due casi eccezionali: per nascita sul territorio italiano da genitori ignoti o apolidi o impossibilitati a trasmettere al soggetto la propria cittadinanza secondo la legge dello Stato di provenienza, oppure se il soggetto è figlio di ignoti ed è trovato nel territorio italiano.
Il ddl incardinato al Senato introduce una forma temperata di ius soli. Può diventare cittadino italiano chi è nato in Italia da genitori stranieri, di cui almeno uno sia in possesso del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo (è necessaria comunque una dichiarazione di volontà di un genitore).
Tale permesso è rilasciato allo straniero cittadino di Stati non appartenenti all’Ue in possesso da almeno cinque anni di un permesso di soggiorno valido. Inoltre, la famiglia deve dimostrare di avere un reddito minimo non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, occorre la disponibilità di un alloggio che risponda ai requisiti di idoneità previsti dalla legge e bisogna superare un test di conoscenza della lingua italiana.
Non hanno diritto al permesso gli stranieri che soggiornano per motivi di studio o formazione professionale; o per motivi umanitari; quanti hanno chiesto la protezione internazionale e sono in attesa di una decisione definitiva.
Carmelo Vella