Il conflitto tra Israele e gli arabi palestinesi

Nell’ultimo mese ci sono stati più assassinati israeliani per mano terroristica che negli ultimi due anni, come ci fa sapere Ynetnews. Non è possibile parlare di Israele rimanendo neutrali, poiché, come diceva giustamente Ugo La Malfa, “La libertà dell’Occidente si difende sotto le mura di Gerusalemme”.

I parlamenti svedese e britannico hanno da poco deciso di chiedere ai loro rispettivi governi di riconoscere lo Stato di Palestina. Senza nulla togliere alla gravità della scelta del parlamento svedese, pesa comunque maggiormente la decisione del parlamento del Regno Unito, avendo avuto quest’ultimo un ruolo da protagonista nella storia dell’origine del conflitto, basti pensare al mandato britannico, alla Dichiarazione di Balfour del 1917, ma anche al Libro bianco del 1939 di Malcolm MacDonald. Quest’ultimo provvedimento rappresentò un vero e proprio voltafaccia britannico nei confronti del sionismo. Esso prevedeva la creazione entro dieci anni di uno stato palestinese e decretava il divieto di immigrazione per gli ebrei, limitando per questi ultimi anche l’acquisto di terre. L’attuazione di tali misure venne intensificata alla fine della seconda guerra mondiale. Ebrei sopravvissuti alla Shoah in Europa cercavano di andare in Palestina e si ritrovavano tali ostacoli.

L’ANP è già riuscita ad essere riconosciuta dall’ONU come Stato osservatore (non membro). Il passo successivo l’abbiamo visto il 30 settembre scorso, quando ha proposto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di approvare una risoluzione in cui ci sia il termine perentorio, previsto per il novembre del 2016, per il ritiro di Israele dai territori occupati con la guerra del 1967 ed ottenere così la propria indipendenza.

Lo Stato di Israele ha diritto a difendere i suoi cittadini da qualsiasi attacco proveniente dall’esterno come dall’interno, come ha sempre fatto e sta continuando a fare affrontando le violenza di questi giorni. Tale diritto non è mai stato definitivamente riconosciuto da Hamas, ma neanche dall’OLP, che, pur avendolo promesso, non ha mai prodotto un testo del suo statuto sostitutivo dell’originale, nel quale è affermato chiaramente che scopo dell’OLP è la distruzione di Israele attraverso la lotta violenta. Israele viene accusato di non riconoscere lo Stato palestinese, ma si può riconoscere come interlocutori coloro che vogliono eliminarti?

D’altronde, negli accordi di Oslo/Washington tra Arafat e Rabin (1991/1993), quando – più che in qualsiasi altro momento della storia del pluridecennale conflitto – sembrò che si potesse giungere ad una soluzione storica dello stesso, gli interlocutori si riconobbero eccome reciprocamente e fu stabilito che Israele dovesse abbandonare i territori “occupati” (così vennero esplicitamente definiti) e quali dovessero essere le modalità di tale ritiro.

Una delle questioni poste dagli arabi nella cosiddetta soluzione a due Stati è che nei territori che dovrebbero essere del futuro Stato palestinese non ci siano più le centinaia di migliaia di israeliani che attualmente ci vivono. Abbiamo visto le conseguenze disastrose del ritiro unilaterale israeliano nel 2005 dalla striscia di Gaza, effettuato anche attraverso la deportazione di israeliani ebrei da parte di altri israeliani ebrei per rendere quel territorio judenfrei. Si dovrebbe fare la stesso errore con la Cisgiordania? Si può ragionevolmente pensare che la soluzione a due Stati sia ancora perseguibile, se mai lo è stata?

Massimo Messina